Chi si ricorda dell'Afghanistan


In Afghanistan l’Italia ha un contingente di 3.952 unità, a sostegno della missione ISAF, avviata il 20 dicembre del 2001. Siamo il quarto paese per numero di uomini impegnati. Abbiamo già 51 morti di cui poterci vantare davanti alla comunità NATO. Bush jr. aveva deciso di invadere la patria dei talebani per esportare democrazia e catturare Osama Bin Laden. Dopo 11 anni è impressionante il silenzio della comunità europea e dei suoi membri rispetto al rinnovo della missione. Se gli eserciti stranieri abbandonanassero l’Afghanistan i talebani rischierebbero di riprendere il potere, viene detto. Oggi il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha approvato all’unanimità una risoluzione che estende per altri 12 mesi il mandato. Non sentirete i telegiornali avanzare critiche per le scelte militari che hanno caratterizzato la politica estera degli USA dopo l’11 settembre del 2001. Tantomeno sentirete autocritiche rispetto alle modalità con cui il servizio di informazione italiano ha seguito e segue l’evolversi della situazione in Afghanistan (così come in tutto il Medio Oriente).

In tempi di tagli e sacrifici economici viene facile argomentare che i costi delle missioni all’estero sono ingiustificabili. Preferiamo però rimanere alla Costituzione e a quel sempre citato articolo 11 che Giuliano Amato ritiene essere male interpretato.

Il 17 ottobre del 2010, sul Sole 24 Ore, il giurista costituzionalista ha avuto modo di scrivere: “ha ragione chi rifiuta l’illusione che, pur così limitate, si tratti di operazioni asettiche, lontane dai rischi cruenti della guerra. No, sono sempre operazioni di guerra. Sono sempre operazioni di guerra, ma la Costituzione non le vieta“, anche se “è irrinunciabile che le missioni abbiano un inequivoco connotato difensivo. Ebbene, quel connotato è indiscutibile nel caso dell’Afghanistan, uno stato che non aveva aggredito il suolo degli Stati Uniti, ma aveva di sicuro ospitato e protetto l’organizzazione terroristica che lo aveva fatto alle Torri gemelle”.

In sostanza, secondo Amato e i tanti che a sinistra difendono la scelta delle “missioni pace”, l’Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali solo quando la guerra non permette di risolvere le controversie internazionali. Se con la guerra si può difendere la pace è giusto muovere guerra.

Dato che Amato è un tecnico prestato alla politica, almeno questo ci hanno spiegato recentemente i principali mezzi di informazione italiani, possiamo evitare di entrare nel merito della discussione, almeno per constatare come, dopo 11 anni, in Aghanistan si sia visto sostanzialmente di tutto, eccetto la pace.

Prendere atto del fallimento delle politiche internazionali portate avanti da Bush jr., avvallate da un pezzo di Unione Europea e da Israele, sarebbe un primo passo fondamentale per permette al popolo afgano di intraprendere la strada dell’autodeterminazione. In molti speravano che ci avrebbe pensato Obama. Non lo ha fatto e pare che nessuno si ricordi più dell’Aghanistan. Almeno fino a che non muore un “nostro ragazzo”.





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